PALERMO. Quanto possono influire genere e sesso di un individuo sulla manifestazione e lo sviluppo di una malattia? Nonostante gli esempi presenti in letteratura siano ancora ridotti, i dati evidenziano la presenza di profonde differenze per cui, la medicina di genere con un approccio multidisciplinare, può rappresentare un’importante svolta nella somministrazione di cure ad hoc sia per gli uomini che per le donne.

Se n’è parlato nell’ambito del ciclo di seminari sul “Bilancio di genere” organizzato dall’Università di Palermo con il contributo dei 16 dipartimenti coinvolti. Ventotto le conferenze a distanza per analizzare le differenze di genere a vari livelli tematici, per arginare fenomeni di violenza e promuovere,  al contrario, azioni volte ad abbattere pregiudizi e stereotipi.

Tre in particolare gli argomenti sviluppati nell’ultimo incontro della Scuola di Medicina e Chirurgia riguardanti le malattie del fegato, le malattie neurodegenerative e la medicina orale di genere.

Differenze sostanziali si possono riscontrare nella metabolizzazione dei farmaci da parte degli uomini e delle donne “in quanto il fegato – spiega Anna Licata, professore associato presso il Dipartimento Biomedico di Medicina Interna e Specialistica dell’Università degli studi di Palermo – è un organo sessualmente dimorfico, dunque risponde in maniera differente agli ormoni femminili e maschili, e presenta numerosi recettori sensibili agli estrogeni”.

Questo il motivo per cui il danno epatico da farmaci, patologia molto comune, risulta in tutto il mondo più frequente nelle donne soprattutto in età giovanile (il 67%) e presenti sintomatologie diverse anche in base al tipo di farmaco.

“Per esempio, per quanto riguarda la nimesulide, è stato riscontrato che il tipo di danno nelle donne incide sulle cellule del fegato, causa un aumento delle transaminasi, ittero e leggero aumento della fosfatasi alcalina. Altre sostanze che possono provocare con maggiore frequenza danno epatico da farmaco nei soggetti femminili- sottolinea- sono i prodotti di natura erboristica utilizzati per dimagrire (i cosiddetti slim aids) soprattutto dalle donne”.

Anche nella malattia epatica da alcol possono emergere delle differenze tra uomini e donne. Questo è dovuto ad una maggiore suscettibilità della donna per una sua minore capacità di metabolizzazione dell’alcol di 2:1 nelle persone di 26 anni, che diminuisce ancora con l’aumentare dell’età e in relazione alla quantità di alcol assunto. “Da uno studio condotto nei Paesi nordici su più di 8mila partecipanti è emerso che, nonostante la donna incorra in un danno da alcol più facilmente, la cirrosi alcolica è meno frequente nelle donne rispetto agli uomini (soltanto il 33%) perché per costume bevono di meno”, spiega Licata.

Se consideriamo poi la MAFLD (Metabolic associated fatty liver disease) non alcolica ha anch’essa una prevalenza diversa in base al sesso. “Infatti nelle donne con un’età compresa tra i 50 e 55 anni, quindi in corrispondenza dell’inizio della menopausa, si ha una maggiore prevalenza della MAFLD con un picco nelle donne con un’età superiore ai 70 anni. Inoltre, un menarca precoce tra i 9 e gli 11 anni, aumenta il rischio di MAFLD nella giovinezza”.

Se inoltre le epatiti autoimmuni sono caratteristiche del sesso femminile, le epatiti virali non presentano al contrario differenze di genere. Continuando l’excursus, è possibile inoltre notare che ci sia una maggiore prevalenza, in maniera variabile in base all’area geografica considerata, della colangite biliare primitiva (PBC) nelle donne con un’età maggiore di 40 anni. “In Sicilia, su 350 pazienti, l’89,3% sono di sesso femminile mentre il restante 10,7% è di sesso maschile”, dimostra la prof.ssa Licata.

Gli estrogeni, ma anche lo stile di vita della donna, incidono persino sulle sue funzioni cerebrali ed ecco che differenze di genere si possono riscontrare nel decorso delle malattie neurodegenerative. “Diversi gli studi che dimostrano che le demenze (caratterizzate da una condizione di declino mentale progressivo) sono più frequenti, in soggetti con un’età superiore ai 65 anni, nel sesso femminile rispetto al sesso maschile e questo è dovuto – spiega la dott.ssa Bruna Lo Sasso, ricercatore presso il dipartimento di Biochimica clinica e Biologia molecolare clinica e Medicina di laboratorio dell’Università di Palermo – ad una diversa aspettativa di vita nella donna, ad una predisposizione genetica e chiaramente anche all’assetto ormonale”.

Con l’aumento dell’aspettativa di vita della popolazione, il fenomeno delle malattie neurodegenerative (Alzheimer, Parkinson, Corea di Huntington, Sla) si sta notevolmente ampliando a livello mondiale. Se guardiamo il caso dell’Alzheimer, il genere è un fattore di rischio notevole tanto che, secondo i dati più recenti, “per le donne è doppio-sottolinea Lo Sasso- e questo perché il fattore genetico e l’assetto ormonale hanno una ricaduta importante. Ci sono condizioni, infatti, che rischiano di scatenare la manifestazione della malattia di Alzheimer più frequentemente nelle donne più che negli uomini come la compresenza di malattie croniche (diabete, obesità ed ipertensione). Inoltre stando ad alcuni studi, anche la menopausa precoce aumenta del 46% il rischio di manifestare la malattia di Alzheimer”.

Anche per quanto riguarda lo sviluppo e la sintomatologia del morbo di Parkinson, si possono notare importanti differenze di genere, sebbene i dati ci dicono che sia una malattia più frequente nei soggetti di sesso maschile “sia come prevalenza che come periodo ed età di insorgenza. In realtà- spiega la dott.ssa Lo Sasso- ciò che caratterizza i due sessi sono delle differenze cliniche e fenotipiche in quanto nella donna il Parkinson si presenta con un maggiore tremore, cadute più frequenti, maggiore disfunzione gastrointestinale, percezione maggiore del dolore. Mentre nell’uomo c’è uno spostamento verso l’instabilità e il declino cognitivo”.

E proprio perché a determinare queste differenze è la presenza degli ormoni femminili, la menopausa precoce aumenta del 68% il rischio di malattia di Parkinson mentre “una maggiore esposizione agli estrogeni, sia naturali che dovuti alle terapie ormonali, riduce il rischio di Parkinson di circa il 43%”, aggiunge.

Infine gli estrogeni condizionano anche la salute del cavo orale dove, in quasi tutti i distretti, sono presenti dei recettori ormonali. “Se infatti le donne sono più resistenti alle infezioni, sono al contrario più suscettibili alle patologie autoimmunitarie – avverte la dott.ssa Vera Panzarella, ricercatore di Odontostomatologia- Nel caso della malattia parodontale (gengivite e parodontite) si presenta più spesso nella donna con una frequenza di 3:2 e a qualsiasi età rispetto agli uomini. In età adolescenziale e nelle giovani donne adulte si assiste a dei picchi ormonali che determinano l’insorgere di afte. In gravidanza si possono presentare anche forme particolari di gengivite come l’epulide gravidico o granuloma piogenico. C’è da dire inoltre che la malattia parodontale è nettamente prevalente nelle donne in età perimenopausale e postmenopausale in forme croniche e aggressive, connesse alla riduzione dei livelli ormonali al pari dell’osteoporosi”.

Nella donna, soprattutto anziana, risulta essere prevalente la sindrome di Sjögren “con un rapporto di 9:1 rispetto agli uomini, tanto che per il genere femminile- avverte- è la seconda patologia autoimmunitaria dopo la tiroidite di Hashimoto e nei quali si manifesta anche con assetto e sintomatologia assolutamente diversi”.

L’iposciaria, la riduzione della produzione di saliva, e la xerostomia, ossia la secchezza delle fauci, sono tra le condizioni che incidono particolarmente sulla qualità di vita delle donne in menopausa e “si presentano con una prevalenza che va dall’11% al 72%, associate dunque ad una riduzione degli estrogeni”.

Alla stessa maniera, nel caso della sindrome della bocca urente, a cui può essere connessa un disturbo del gusto, “la donna è fortemente penalizzata più degli uomini e si ritiene che sia secondaria ad alterazioni neurologiche e ormonali”.

Lo specialista della salute orale, nella gestione delle malattie a prevalenza femminile, deve “eseguire frequenti visite per evidenziare sintomi e disturbi orali caratteristici della patologia, coordinarsi con gli altri specialisti, informare la paziente della menopausa sulla condizione fisiologica e fornire istruzioni per eseguire una corretta igiene orale”.

Infine, anche le infezioni sessualmente trasmissibili per via orale (gonorrea, clamidia e Hpv) si manifestano più spesso nelle donne e in maniera differente rispetto agli uomini “a causa di alcuni traumi meccanici durante l’atto sessuale che possono provocare più facilmente l’ingresso di microorganismi”.

FONTE: Insanitas.it